Onorevoli Colleghi! - I gravi scandali finanziari di questi anni hanno riproposto, con drammatica evidenza, la questione centrale delle moderne economie di mercato: la questione della governance del capitalismo e l'etica negli affari. Seppur consapevoli del fatto che occorre avere moderni assetti societari, si è, d'altra parte, sempre più convinti che occorre agevolare la trasparenza nella tutela dei risparmi azionari, garantire i diritti dei soci e dei risparmiatori, e che è necessario un intervento sul sistema dei controlli, anche penali.
      La decisione, infatti, di depenalizzare il reato di falso in bilancio, con il decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, recante disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, ha rappresentato un messaggio significativo che non ha tardato ad essere recepito dalla peggiore imprenditoria.
      Pur ribadendo la natura sussidiaria dell'azione penale, all'interno di un complessivo intervento su materie così complesse quali quelle del diritto societario e della tutela del risparmio, occorre rilevare come l'assenza di una sia pur minima deterrenza sul piano penale costituisca un buon viatico per operazioni illegali e favorisca il rischio del ripetersi di scandali finanziari nel nostro Paese.
      Perfino negli Stati Uniti, all'indomani degli scandali delle grandi corporation e della vicenda Enron, il Congresso ha approvato una legge che per il conflitto di interessi e il falso in bilancio contempla una pena severa, fino a venticinque anni di reclusione e la confisca dei beni dei responsabili;

 

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ma soprattutto - a differenza di ciò che è accaduto in Italia - il falso in bilancio viene configurato quale reato contro la fede pubblica, e la veridicità delle scritture contabili, e conseguentemente per esso non è richiesta la prova del danno causato.
      Ulteriori modifiche alla disciplina del falso in bilancio sono state apportate nella scorsa legislatura con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, che ha previsto un lieve innalzamento della pena detentiva irrogabile, nelle ipotesi di false comunicazioni sociali.
      Con la presente proposta di legge, che ripropone analoga iniziativa presentata nella XIV legislatura, si intende ristabilire la giusta rilevanza di un reato contro la fede pubblica come quello delle dichiarazioni false nei bilanci societari, innanzi tutto mediante l'inasprimento di tutte le pene previste per i reati societari e per i reati fallimentari.
      Oltre alle ipotesi di aggravamento delle pene è stata contemplata, nel caso di reati societari, la procedibilità d'ufficio in luogo di quella a querela, introdotta dalla riforma del Governo Berlusconi, seppure limitatamente ad alcune fattispecie minori.
      Nel delitto di falso in bilancio è stata introdotta anche la società quale soggetto beneficiario dell'attività di frode, onde evitare il rischio, presente nella norma vigente, che il reato non sussista se il falso in bilancio sia commesso per favorire la società in danno di terzi.
      Una particolare attenzione viene poi dedicata alla tutela dei risparmiatori, mediante:

          a) l'inasprimento delle pene per le società quotate e per quelle che ricorrono comunque al mercato finanziario;

          b) l'inasprimento delle pene per la pubblicità ingannevole nei prospetti volti alla sollecitazione all'investimento (articolo 2623 del codice civile);

          c) l'inasprimento delle pene per le falsità commesse dalle società di revisione, introducendo una loro responsabilità penale per colpa (oggi inesistente), al fine di sollecitarne il massimo controllo;

          d) l'inasprimento delle pene per gli amministratori che intendano ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza (articolo 2638 del codice civile);

          e) l'inasprimento delle pene per il «ricorso abusivo al credito» per il quale, unitamente a quella attuale (di cui all'articolo 218 del regio decreto n. 267 del 1942, «legge fallimentare»), si prevede una ipotesi aggravata (da due a sei anni), applicabile nello specifico alle società che ricorrono al mercato finanziario in condizioni di dissesto;

          f) la previsione di un'aggravante ad effetto speciale (da un terzo alla metà) nel caso in cui i reati societari e quelli fallimentari abbiano causato un danno di rilevante gravità ai soci, ai creditori e ai terzi in genere.

 

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